Scena.
Serata a Monopoli, con tutte le associazioni impegnate con la messa in scena di Hobbiton nelle sale del castello di Carlo V, mio marito in cerca di una messa cattolica dovunque nella città, e io e Lc nella Sala delle Armi, per una messa in tavola di giochi in scatola: l’unico vero motivo per essere lì a quell’ora. Insieme a noi, un’altra famigliola di amici nostri coetanei, anche loro con una figlia un anno più piccola del cavaliere di casa nostra.
Azione.
In tutto questo cimentarsi in qualcosa, non avevamo fatto i conti con l’unico che non avremmo messo sicuramente tra noi, ma si è presentato da solo senza nemmeno essere stato invitato, il cornutone del piano di sotto. Dopo un veloce e piacevole “Sushi go”, il nostro animatore tira fuori una scatola da gioco chiamata Vudù e iniziano a succedere cose strane.
Riavvolgo il filmato di ciò che ho visto con gli occhi, per sperare di raccontare nel post 2 di 2 ciò che è emerso da una lettura interiore.
Non appena vedo quella scatola, io inizio a dare segni di insofferenza, gli altri al tavolo sembrano non fare caso né al titolo, né al tipo di gioco. Si apre la scatola, i bambini sono interessatissimi ad esaminarne il contenuto e una bambolina vudù comincia lentamente a passare di mano in mano.
Io inizio a cercare di richiamare l’attenzione dell’altra mamma: – Oh ma hai visto come si chiama il gioco? Sei davvero sicura di volerlo fare?
Lei: – No, non lo conosco. Ma guarda! Cos’è questa? Una bambola vudù?
Io:- Sì, guarda che il gioco si chiama proprio così…
Lei:- Ah e, vediamo, di cosa si tratta?
Non riesco ad oppormi a quella scelta, di fatto mai espressa. Dentro di me è come se qualcosa urla dicendomi che quella bambola non devo nemmeno toccarla, forse dovrei dirlo agli altri, ma li guardo negli occhi, li vedo distratti e non spiccico parola. Un pensiero sottile mi dice che non posso mica partire con un predicozzo in quel momento, ma me lo dice con un deterrente abbastanza cretino: – E se ci rimangono male? In fondo è solo la prima volta che usciamo insieme -. Cretino, ma in quel momento funziona.
Lei: – Ma guarda è proprio una bambola vudù? Che dici?
E intanto me la porge. Non voglio prenderla e freno le mie mani a mezza distanza. Ho difficoltà a ricordare proprio come si parla, a formulare una frase, ma siccome sono anche un po’ dislessica, e la stanchezza influisce, penso sia il solito blocco che ogni tanto mi prende e che dipenda tutto da lì.
Quando però ci raggiunge mio marito, per indicargli dove siamo e salutarlo mi allontano da tavolo, e – Oh che bello! – riesco a parlare di nuovo!
Mi riavvicino, l’introduzione al gioco è già iniziata e sento la bambina gridare eccitata: – Sìììì, le maledizioni! Voglio lanciare le maledizioni.
Io resto di nuovo allibita e torno a essere incapace di manifestare il mio disagio, ma anche i genitori della bambina restano muti.
Mio marito è ancora in piedi, un po’ distante a guardarsi intorno, mi allontano dal tavolo per avvicinarmi a lui e lo sento dire: – Ma io quasi quasi darei una occhiata al castello.
Io: – Ma io quasi quasi verrei con te! – e dentro di me aggiungo – Oh ma com’è che qui la dislessia va e viene?!
L’animatore sta già creando dei mazzetti di carte al centro del tavolo, vedo Luca serio e assorto. Il mio pensiero si fa nitido: devo portarlo via di qui.
-Io e papà ci allontaniamo per vedere il castello, tu … che … fai? -la voce si smorza, non era proprio così che lo volevo dire!! Dovevo dirgli qualcosa di più incisivo, che lo predisponesse già a venire con noi.
La risposta di Luca è vaga, il gioco è già avanti ai suoi occhi, dal suo punto di vista è solo un peccato non poterci giocare.
Il mio sguardo si allarga verso l’altra famigliola, non posso pensare solo a mio figlio, devo farmi carico anche di loro, non posso abbandonarli, ma com’è che non riesco a dire nulla per salvare la situazione?
La bambina intanto continua giuliva a dire: – Maledizioni! Maledizioni! Voglio fare le maledizioni!
Guardo i genitori, ancora quello sguardo spento, come se fossero completamente succubi della tirannia della bambina, incapaci di contrastarla. Di nuovo ho quell’impressione di non riuscire a parlare, di non sapere cosa dire per scuoterli poi è successo un segno per me ancora più evidente.
La mamma mi guarda negli occhi e coglie qualcosa. Mi sto sforzando di parlare ma riesco solo a ruotare appena la testa per dire il mio “no” con un piccolo cenno, e chissà che espressione avevo in volto.
-Ah sì, – dice lei – forse ho capito! – e indicando me agli occhi dell’animatore aggiunge – lei è molto particolare, su certe cose è molto attenta e forse non sono per lei…-
Volevo ribattere al velato scherno, e invece la mascella mi si serra del tutto. Esattamente come se avessi una museruola, come se si fosse cementata, ma chiusa, a molari serrati.
L’unica cosa che riesco a fare è annuire, perché in fondo c’è un po’ di ragione in quello che ha detto, ma la situazione di impotenza inizia a darmi ai nervi.
Capisco che la strategia vincente è quella del sub: devo allontanarmi dal tavolo per prendere aria. Lo faccio, respiro e ritorno alla carica:- Lc vieni con noi? Ma non è che venite anche voi? –
Per un attimo ho avuto l’impressione di vedere il tavolo invaso da rivoli oscuri semitrasparenti, tipo serpentelli fatti di fumo nero, che man mano dalla scatola si riversavano verso i bordi del tavolo, alcuni scivolavano giù a terra altri si ricurvavano su se stessi, ma sparpagliandosi si rendevano tutti meno distinguibili, come ombre. Intanto sento il papà dire:- Beh visto che siamo qui, giochiamo ancora un po’ e poi andiamo via.
Bambina: – Voglio giocare! Mamma, dobbiamo fare il gioco! Dài!!!
Mamma: – E… sì dài, vedi il gioco …
Sono daccapo in stallo, reitero la strategia del sub, ma mentre mi riallontano, oltre a prendere fiato, prendo al volo anche prima scatola carina, nuova e luccicante, a portata di mano, sul tavolo affianco al nostro. La metto rapidamente tra le mani dell’animatore e gli dico: – Senti ma questo lo sai fare? Che gioco è?
L’animatore che praticamente si fermava a confabulare con un altro della sua crew tutte le volte che mi avvicinavo io, lo fa anche stavolta, poi con una smorfia dice :- Vabbè ho capito, non è cosa (* trad. dal pugliese: con voi non c’è niente da fare, non c’è modo di proseguire).
Finalmente richiude la scatola Vudù, si allontana e torna con un gioco di quelli normali tradizionali, Jungle speed. Improvvisamente tutta la tensione va via e il nostro sabato torna ad essere una distesa serata di gioco e divertimento completato con l’ennesimo concerto delle Stelle di Hokuto, tutto a base di sigle dei cartoni animati e colonne sonore …. da Hobbit!
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